domenica 20 gennaio 2008

Punti di Vista sul Mattino nella settimana 12-18 Gennaio 2008 :Gribaudi, Siola,D’Antonio,Rea ,Sforza,Musella, Morganti,Panico e Cosenza

12/01/2008


Gli anelli deboli della catena

Gabriella Gribaudi

Come spesso succede nel nostro Paese, la discussione sui rifiuti napoletani si svolge eludendo i termini concreti della questione e le vicende storiche che hanno provocato il disastro. È necessario allora ricostruire la catena degli errori e delle responsabilità che hanno portato alla situazione attuale. Primo anello. La gara vinta dalla Fibe-Impregilo. La gara per due termovalorizzatori e sette impianti di Cdr iniziata nel 1998 (commissario straordinario Rastrelli) e conclusasi nel 2000 (commissario Bassolino) fu impostata male, portò a vincere l’impresa che aveva proposto l’impianto meno avanzato. La realizzazione fu anche peggiore: dagli impianti costruiti dalla Fibe esce un rifiuto che gli esperti chiamano, con un nome allusivo molto significativo, «tal quale». Si tratta, cioè, di rifiuti triturati e impacchettati, ma tali e quali a quelli che sono entrati, che quand’anche ci fosse il termovalorizzatore non potrebbero essere bruciati. Questo è uno dei motivi per cui il suolo campano è coperto di ecoballe che non potranno mai essere gestite in un moderno ciclo di smaltimento, ma finiranno sempre in discariche. Inoltre il contratto prevedeva che il sito del termovalorizzatore di Acerra venisse scelto liberamente dalla ditta vincitrice. E, per i poteri di deroga del commissariato straordinario dovuti all’emergenza, non veniva richiesta la «valutazione di impatto ambientale» (Via). Successive modifiche all'ordinanza non resero comunque mai obbligatoria una vera valutazione. La scelta del sito ha dato origine al noto conflitto con le popolazioni. L’impresa Fibe, la capofila Impregilo e i suoi vertici (Piergiorgio e Paolo Romiti) sono stati accusati di truffa ai danni dello Stato e dei cittadini.
Il commissario straordinario del tempo, Antonio Bassolino, con i vice commissari di «inerzia» e mancanza di controllo. Il processo sta per avere corso. Secondo anello della catena. La raccolta differenziata. Per la raccolta sono stati creati 18 consorzi che dipendevano dal commissariato straordinario e che si sono dimostrati strutture inefficienti, inutili e clientelari. Inefficienza e spreco di danaro pubblico in alcuni casi si sono trasformati in vere e proprie truffe organizzate con personaggi di dubbia correttezza. Nel caso di Mondragone e della società mista pubblico-privato Eco4 è emerso un rapporto con la camorra. Sono stati assunti e spalmati nei 18 consorzi per la raccolta differenziata circa 2300 lavoratori poi stabilizzati con un bando regionale nel 2001. Sono entrati, attraverso una corsia preferenziale, gli iscritti alle cooperative dei disoccupati organizzati. Quegli stessi che per mesi, anzi per anni, avevano bloccato le strade, le navi nel porto con i turisti obbligati a scendere, avevano incendiato cassonetti della spazzatura e autobus, con una vera e propria guerriglia urbana che aveva bloccato la città. Nella compilazione delle liste sono state trovate anche in questo caso collusioni con la camorra, dimostrate in ben due processi. Questi lavoratori non fanno nulla e sabotano mezzi meccanici e attività. Terzo anello. Il commissariato stesso. A questo proposito per brevità non ci resta che usare le parole della commissione parlamentare di fine anno che ribadisce le accuse durissime al commissariato straordinario «le cui inefficienze strutturali si sono rivelate, lungo questi anni, di tale entità da pregiudicarne in modo irreversibile operatività ed efficacia». Ci troviamo di fronte a una fitta rete di responsabilità e a una catena di decisioni che, in un circolo vizioso, hanno condotto sempre più lontano dagli obiettivi preposti. Attraverso il commissariamento straordinario si è creato un sistema chiuso e autoreferenziale che è cresciuto su se stesso. Sono proliferate le spese: negli ultimi dieci anni si sono spesi circa 780 milioni di euro all’anno in emolumenti, consulenze, affitti degli immobili; si sono destinati invece unicamente 29 milioni all’anno per investimenti (relazione 2007). L’emergenza ha permesso di saltare procedure trasparenti, di scegliere consulenti e imprese al di fuori della concorrenza, evitare la mediazione con le popolazioni e con le istituzioni locali, annullandone le capacità gestionali. Ha infine prodotto decisioni unilaterali, non misurate con percorsi e contesti concreti. Non c’è stata capacità di previsione e non c’è stato controllo. Si è realizzato un sistema che a ogni snodo presentava inefficienze e mancanze, e in queste inefficienze si è infiltrata l’opera della camorra: gli appaltatori dei trasporti e dello smaltimento hanno subappaltato ad altre ditte, che a loro volta hanno subappaltato a ditte ancora più piccole, in una catena incontrollabile in cui si sono con facilità inserite le organizzazioni criminali locali. Ma, si deve sottolineare, non è stata la camorra a indirizzare il piano e a farlo fallire. La camorra, esplicando un suo ruolo classico, ha gestito i gap all’interno del sistema e ha approfittato della storica incapacità di controllare i risultati del proprio operato delle istituzioni e delle amministrazioni pubbliche campane. All’origine del disastro ambientale verificatosi c’è poi l’operato di un’impresa nazionale, l’Impregilo. Il risultato? Un piano, una gara, un contratto sbagliati, un’esecuzione ancora peggiore, coniugati con l’inefficienza totale della pubblica amministrazione, sono la causa prima del fallimento del ciclo dei rifiuti campani. Come nel ciclo dei rifiuti nocivi c’è una stretta complementarietà fra interessi nazionali e interessi locali. Imprese nazionali e internazionali hanno tratto profitti dalla politica dell’emergenza in cambio di una pessima prestazione. D’altro canto gruppi dirigenti locali, attraverso la struttura del commissariato, hanno potuto gestire un rilevante flusso di spesa, rafforzando il proprio potere ed estendendo la rete di amici e clienti. E a farne le spese sono stati il territorio e i cittadini comuni. Gabriella Gribaudi



13/01/2008
Enti locali senza alibi
Uberto Siola
La tensione legata all’attesa sulla possibile riattivazione della discarica di Pianura è un punto di disagio che permane e solo in parte è temperato da quanto di positivo pur sta accadendo in queste prime giornate di attività di Gianni De Gennaro. La autorevolezza del commissario non è messa in discussione da nessuno, l’esodo via mare di una parte dei rifiuti è un segnale importante, anche perché potrebbe rinviare a soluzioni più sistematiche del problema. La rimozione dell’immondizia avviata in molti punti della città e della regione, infine, restituisce il senso di un cambiamento importante e significativo.

Ma sono proprio questi elementi positivi che ci impongono di pensare a questioni più generali e, per molti aspetti, più importanti. Proprio in queste ore è necessario far capire che i poteri e la presenza di un Commissario non possono costituire un alibi per quanti governano Regione, Province e Comuni i quali in nessun modo possono sostenere, a se stessi e ad altri, che il problema dei rifiuti è ormai un’esclusiva competenza di De Gennaro. D’altra parte basta scorrere la legge n. 87/07 per prendere atto che lo stesso testo che istituisce i poteri commissariali indica con chiarezza quali siano i doveri che restano a carico degli enti locali. É importante porre oggi la questione perché va ricordato che il Commissario resterà in azione soltanto 120 giorni per poi riconsegnare alla ordinarietà dell’azione amministrativa e politica la gestione dei rifiuti. E quello sarà certamente il momento della verità: perchè sarà possibile fare un ragionamento sia sulle responsabilità del pregresso - ragionamento che oggi, davanti all’emergenza, è opportuno rinviare - sia su come sarà stata gestita, in presenza ed in collaborazione con il Commissario, la situazione nei quattro mesi del mandato. La responsabilità maggiore dei prossimi 120 giorni ricade sui Comuni. Finora quelli della Campania hanno assorbito molte risorse in una trattativa che è stata avviata con loro, erroneamente rivolta alla risoluzione del singolo problema e mai secondo una logica generale. Si aggiunga che spesso i poteri commissariali centrali hanno rappresentato un alibi per i Comuni per fare poco o niente nel campo della raccolta dei rifiuti. Il risultato di questa procedura è nel mancato avvio, da parte della stragrande maggioranza dei casi, della raccolta differenziata, la cui mancata applicazione ancora oggi va considerata l’origine dell’intera questione.
Proprio in relazione alla raccolta differenziata, i dati ufficiali vedono la Campania al sedicesimo posto fra le venti regioni italiane, con valori percentuali che a stento raggiungono il dieci per cento. Arrivare al più presto a valori superiori al 40% è compito inderogabile dei Comuni campani. La loro eventuale inadempienza, se non potrà essere più sanzionata, come fino a poco fa era possibile fare con il commissariamento, dovrà essere colpita nel meccanismo di erogazione delle risorse regionali in tutti i settori. Chi non è a posto con il problema della raccolta differenziata non ha diritto a chiedere la solidarietà di tutti nell’assegnazione delle risorse disponibili. Una responsabilità cruciale che ai Comuni non può sfuggire e che dovrà vedere impegnate tutte le amministrazioni in uno sforzo anche di affiancamento e di complementarietà all’azione del Commissario. D’altra parte le province non possono ignorare quanto previsto all’articolo 6 della legge 87, laddove vengono assegnati ai presidenti delle Province compiti e responsabilità di vice-commissari con la funzione specifica di concorrere alla programmazione e di attuare la piena realizzazione delle iniziative per la soluzione del problema. Un ruolo questo che, tranne casi rari, le Province finora non hanno esercitato. Laddove, quasi sempre, alla proposta di un sito è stata opposta una «politica del no» che, mai supportata da alcuna controproposta, non ha portato quasi mai a niente.
Infine la Regione: ad essa tocca il compito centrale di elaborare, in questi 120 giorni, piani di sviluppo che, partendo dal vulnus che il territorio subisce, restituiscano alle varie parti del territorio una prospettiva disegnata non solo nella logica di compensazione del danno ma nell’ipotesi che sia possibile delineare nuove condizioni di sviluppo. Per fare ciò la Regione deve ritenere chiusa la fase di contrattazione con il singolo Comune e aprire invece, da subito, una stagione in cui lo sviluppo non sia più settorialmente inteso e riferito alle singole attività ma sia assunto come motore di sviluppo per singole aree omogenee in cui la regione va suddivisa. Bisogna smetterla con politiche di settore che spesso hanno visto il protagonismo dell’uno o dell’altro assessore e far assumere alla Presidenza il ruolo di promotrice dello sviluppo, con il supporto delle azioni che i singolo settori dovranno andare assumendo. Questa è la sfida che le classi dirigenti della Campania devono assumere. Soprattutto, devono farlo nei prossimi 120 giorni, collaborando con il Commissario nelle azioni avviate, contribuendo con la raccolta differenziata e quant’altro al risanamento ambientale, avviando finalmente un ragionamento sullo sviluppo che, utilizzando i fondi europei 2007-2013, possa condurci fuori non solo dal tunnel dei rifiuti ma soprattutto da quello del degrado economico e del disagio sociale. Uberto Siola


14/01/2008



La distanza tra i Palazzi e la società
Mariano D'Antonio
Come è potuto accadere? Perché mai i napoletani hanno subìto per anni il disastro dei rifiuti rinunciando a far valere il diritto ad una città pulita, a condizioni igieniche degne della terza metropoli italiana? Perché solo pochi cittadini consapevoli e informati, ai quali questo giornale negli anni ha dato voce, hanno richiamato per tempo ai loro doveri ministri, parlamentari, sindaci, presidenti di giunte, assessori, mentre la maggioranza della popolazione taceva salvo poi protestare sporadicamente con rabbia, com'è avvenuto nei giorni scorsi, in manifestazioni di piazza infiltrate da facinorosi, da violenti, da delinquenti?
Queste domande mi sono state poste nei giorni scorsi da amici e colleghi dell'Università che abitano altrove, lontano da Napoli e dalla Campania, qualcuno anche all'estero. Non mi è stato facile rispondere, specie quando il mio interlocutore era un economista che aggiungeva alla lista la domanda più inquietante.

Ma i politici della tua regione non si sono accorti che, presi dai loro giochi di rimpallo delle responsabilità, di tatticismo, di attesa per chi fa la prima mossa, con la crisi dei rifiuti hanno messo in ginocchio l'economia locale? Non si sono resi conto del fatto che hanno inflitto ferite alla reputazione collettiva così profonde che sarà poi difficile rimarginare? A parte i soliti distinguo che continuo a fare tra politici seri (ce ne sono anche a Napoli!) e politici quaquaraquà, un termine che usava Sciascia; tra chi porta la maggiore responsabilità e chi ha dovuto chinare la testa davanti ai compagni di partito o agli avversari veramente potenti, pensando e ripensando a questi interrogativi mi sono persuaso di dover spiegare le cose con almeno due argomentazioni. La prima è questa: a Napoli il rapporto tra politici e cittadini, tra le istituzioni governate dai politici e la popolazione che questi dovrebbero rappresentare, è stato sempre un rapporto tra due mondi separati che s'incontrano occasionalmente, ad esempio durante le campagne elettorali oppure quando ci sono risorse, benefici, incarichi, posti di lavoro da distribuire. Si obietterà che così è sempre stato. Rispondo che questa separazione, questa estraneità tra politica e popolazione è cresciuta negli ultimi dieci, quindici anni per diversi motivi: per la dissoluzione dei grandi partiti di massa, per la crisi dei sindacati che sono diventati associazioni sempre più di pensionati e sempre meno di lavoratori attivi, per una selezione alla rovescia che porta alla ribalta nuovi politici reclutati più per fedeltà ai vecchi e meno, molto meno per meriti personali. Si è così prodotta un'interazione perversa tra rappresentanti politici e cittadini rappresentati, che s'ignorano a vicenda. Vogliamo una riprova? Nell'ultima indagine sulle famiglie, i loro stili di vita, le loro preferenze, condotta dall'Istituto Nazionale di Statistica (Istat) e pubblicata nel novembre scorso, risulta che in Campania il 45% delle persone intervistate di età di 14 anni e più non parla mai di politica (contro percentuali che si abbassano attorno al 30% nel Centro-Nord) e il 37% dichiarano, sempre in Campania, che non s'informano mai della politica italiana (questi sono il 20% circa dlla popolazione nel Centro-Nord). Altri dati eloquenti riguardano l'accesso ai mezzi di comunicazione di massa: in Campania coloro che leggono almeno cinque volte per settimana un quotidiano sono il 30% della popolazione (contro il 40% nella media italiana), mentre quelli che usano internet sono appena il 26% della popolazione (il 37% nella media italiana). Se non parlano mai di politica, se non ne sono informati, se non leggono un giornale e non usano internet, almeno gli abitanti della Campania si dedicano ad altre attività di carattere sociale? Neanche a dirlo: su 100 abitanti poco più di 4 nella nostra regione prestano attività gratuita in associazioni di volontariato contro 11 che lo fanno nel Nord d'Italia. Attenzione: non sto dicendo che qui da noi il declino della rappresentanza politica è dovuto al disimpegno dei cittadini. Dico che tra i due fenomeni si è stabilita un'interdipendenza viziosa: più i politici parlano di sé e per sé, più la gente si disinteressa e non s'informa della politica; più cresce il disinteresse dei cittadini, più i politici si estraniano dai bisogni della gente comune e rischiano di diventare una casta che si autoperpetua. C'è poi un'altra considerazione che mi sento di fare a margine del disastro dell'immondizia che si è verificato nei giorni scorsi a Napoli. È una considerazione da economista. In queste settimane di disagio acuto della popolazione, di sofferenze inflitte ad intere categorie produttive, di previsioni fosche sul futuro dell'economia locale, poche sono state le proteste e le proposte che venivano da sindacati, associazioni d'interessi degli imprenditori, degli artigiani, dei coltivatori, delle cooperative. Il silenzio più assordante è stato quello dei sindacati. A parte un comunicato emesso a Roma mercoledì 9 gennaio dalle segreterie nazionali di Cgil, Cisl e Uil, un comunicato generico e insignificante, non abbiamo letto null'altro. I segretari dei sindacati in Campania Michele Gravano della Cgil, Pietro Cerrito della Cisl e Anna Rea della Uil, che io sappia, hanno taciuto, non hanno detto la loro sulla crisi dei rifiuti. Come se la questione fosse di scarso interesse per le categorie dei lavoratori dipendenti e dei pensionati che essi rappresentano. Lo stesso si può dire per i leader degli imprenditori (fatta eccezione per Confindustria Campania), degli artigiani e così via, che tranne pochi casi hanno in maggioranza taciuto. Perché questo silenzio, perché poche voci si sono levate dal mondo della produzione? Si possono dare diverse interpretazioni. Una è che sarebbe prevalso un sentimento di rassegnazione, come se ci trovassimo tutti di fronte a una fatalità, la crisi dei rifiuti, considerata un evento inatteso, piombato dal cielo. Un'altra spiegazione è che sindacati ed esponenti dell'imprenditoria hanno voluto prendere le distanze dalle polemiche politiche interessate e strumentali che il disastro dell'immondizia non raccolta né trattata ha sollevato. C'è infine un'interpretazione malevola: non hanno voluto disturbare i potentati politici nazionali e locali che sono ancora in grado di distribuire corpose risorse, anche se i risultati della spesa pubblica in Campania sono stati e rischiano d'essere pure in futuro deludenti per il mondo del lavoro produttivo e per le imprese ancora autenticamente sane e vitali. Mariano D’Antonio




16/01/2008

L’INTERVENTO
Il tempo dell’azione


Anna Rea *
Siamo ancora nel pieno dell’emergenza rifiuti. Una scarsa solidarietà nazionale (tranne lodevoli eccezioni), le strade stracolme di immondizia, gli studenti a casa, l’economia in ginocchio, una immagine di cui vergognarsi per mesi se non per anni: è un quadro a tinte fosche, che però avevamo già abbozzato come Uil Campania sei mesi fa. Siamo stati poco conseguenti sulle conclusioni di quella riunione. Forse va a nostra scusante l’isolamento a cui siamo stati sottoposti da buona parte della classe politica e della società civile quando, insieme con la Cisl, abbiamo portato diecimila lavoratori e pensionati davanti alla sede della Regione a gridare il loro basta ad una politica penalizzante per le classi più deboli.
Siamo stati accusati di protagonismo, di collusione con le istanze del centrodestra, di non voler riconoscere le profonde basi del Rinascimento napoletano. Oggi, invece, si ingrossano a vista d’occhio le file di quelli che sono «contro» ma sempre senza dire mai con precisione e con senso di responsabilità come aggredire una volta per tutte l’emergenza rifiuti in Campania. Una emergenza figlia di una politica che non ha voluto decidere per non inimicarsi nessuno, con il danno e la beffa di uno sperpero oneroso di fondi pubblici proprio in materia ambientale utile soltanto ad alimentare un sistema di potere. Ci sarà tempo e modo per pesare responsabilità e colpe, non solo nel mondo politico, imprenditoriale e giudiziario ma anche all’interno del sindacato stesso, perché è proprio difficile che tutto possa cadere nel dimenticatoio. Oggi è necessario ripulire la Campania dalla spazzatura nel più breve tempo possibile e rendere praticabile un normale ciclo dei rifiuti. Ancora a settembre abbiamo indicato i punti imprescindibili delle nostre proposte sull’emergenza: sì alle discariche già individuate dal decreto Bertolaso; sì ad un’accelerazione della messa in uso dei termovalizzatori; denuncia degli amministratori locali che ritardavano la raccolta differenziata; chiusura definitiva dell’esperienza del Commissariato e dei consorzi di bacino, con conseguente ritorno dei poteri agli enti locali; riqualificazione e bonifica del territorio e del sottosuolo; screeening sanitario per tutti i cittadini delle zone a rischio. Oggi è necessario debellare ogni forma di strumentalità e supponenza per far posto all’assunzione da parte di tutti delle rispettive responsabilità. Quello che alcuni politici continuano a fare, scaricando su altri scelte anche impopolari, è da irresponsabili: così proprio non si avvia il necessario circolo virtuoso nel rapporto tra cittadino e istituzioni. Non tutto potrà essere affogato dalle montagne di immondizia: Napoli e la Campania laboriosa, onesta, silenziosa devono ritrovare la forza di emergere. In questi giorni mi viene in mente lo slogan che come sindacato confederale, nei tristi giorni del terremoto, coniammo: «Tutto non potrà tornare come prima». E questo occorre ribadirlo anche nel pieno di questa tragedia, come giustamente l’ha definita il presidente Giorgio Napolitano. Come ha avuto modo di sottolineare, proprio sul Mattino, il filosofo Aldo Masullo, bisogna subito mettere in campo misure tecniche, cultura, passione civile e democratica. In assenza anche di uno di questi fattori, sono convinta che il Commissariato rischia di fallire di nuovo. Ma quello che più ci interessa, come sindacato, è impedire che prendano corpo il qualunquismo, la disperazione e la violenza. Dobbiamo ricostruire la nostra funzione di organizzatori sociali; dobbiamo parlare con la gente, mettere all’opera i nostri terminali nei luoghi di lavoro e sul territorio, essere promotori di una nuova coscienza civica. Provocare, insomma, quella mobilitazione delle coscienze che mettemmo in campo contro la camorra, coinvolgendo in prima persona i leader nazionali dei sindacati confederali - Angeletti, Bonanni ed Epifani. Allora chiediamo con forza di avere confronti serrati sulle scelte per essere messi nella condizione di verificarne i tempi e le modalità, a partire da un uso corretto e qualitativo delle risorse pubbliche. Anna Rea * Segretario generale della Uil Campania




15/01/2008
Come gestire la differenziata

Antonio Sforza
Nel loro intervento sul
Mattino dedicato al problema dello smaltimento dei rifiuti, Guido Trombetti e Vittorio Silvestrini hanno opportunamente ribadito l’importanza della raccolta differenziata e di una efficace comunicazione con i cittadini. Essi hanno inoltre messo in evidenza che, una volta usciti da questa ultima drammatica emergenza, si rende necessario e indispensabile un approccio scientifico e duraturo al problema. La loro autorevole opinione spinge a fare alcune riflessioni sulle possibili forme di questo approccio scientifico. Prima riflessione. Il fatto che l’emergenza rifiuti sia ricorrente (come l’emergenza traffico per intenderci) non la rende più tale, anche se non per questo la situazione si configura come meno grave. Il ricorrere di una malattia fa pensare che la cura medica adottata sia sbagliata. Viene da pensare quindi che ci sia qualche vizio di fondo nell’approccio tecnico, e anche politico-amministrativo, alla soluzione del problema. Lo smaltimento dei rifiuti non è solo un problema di natura ambientale, chimico-fisica e tecnologica, per il quale è necessario parlare soltanto di combustione, bruciatori, gassificatori, ceneri, diossina e inquinamento delle falde. È anche un problema di gestione del territorio, per il quale è indispensabile parlare di localizzazione ottima degli impianti, rete di trasporto, flotte di veicoli, gestione delle risorse umane. Se un approccio di questo tipo fosse stato adottato nei tempi giusti forse si sarebbero trovate altre possibili localizzazioni dei Cdr e dei termovalorizzatori, per le quali eventualmente costruire il necessario collegamento stradale, in modo tale da rispettare le norme di salvaguardia ambientale, massimizzando, nel contempo, la distanza dall’abitato più vicino.
Si sarebbero neutralizzate, o almeno ridotte, le proteste, in alcuni casi immotivate, delle cittadinanze che ritenevano di dover subire le scelte adottate. Il problema si pone ancora per la localizzazione delle nuove discariche di cui non si può fare a meno, sia in questa fase di emergenza che a regime, e dei cosiddetti impianti di trasferimento dai comuni ai Cdr. Seconda riflessione. È opportuno che la raccolta differenziata, indispensabile per un corretto funzionamento a regime del sistema, sia basata su un adeguato e capillare progetto di gestione, rivolto da un lato al meccanismo di separazione e deposito dei rifiuti da parte dei cittadini, dall’altro al sistema di raccolta su strada. La disponibilità dei cittadini al rispetto delle regole sarebbe molto più alta inoltre se la raccolta differenziata fosse supportata da una tecnologia di identificazione e monetizzazione dei rifiuti di ogni nucleo familiare, in modo da operare una riduzione della tassazione locale proporzionale alla quantità di rifiuti correttamente depositata. Terza riflessione. Le tecnostrutture degli enti locali per il governo del territorio, a qualunque livello, comunale, provinciale e regionale, appaiono inadeguate, seppure esistenti, ad affrontare compiutamente e consapevolmente il problema dello smaltimento dei rifiuti. Nel comune di Napoli non c’è un ufficio che interloquisca adeguatamente con i vertici e i tecnici dell’Asìa, e non sembra di aver ascoltato il parere di qualche tecnico provinciale o regionale sulle attuali drammatiche vicende. Insomma gli enti locali non ritengono opportuno valorizzare competenze e ricoprire ruoli in un settore che appare sempre più cruciale per il corretto funzionamento del sistema ambientale e territoriale. Questa scelta, chiaramente perdente, li costringe a non avere una propria opinione sull’argomento, come invece avviene per i trasporti, l’urbanistica o il sottosuolo, e quindi a non poter interagire consapevolmente con le competenze esterne che in questo momento possono e devono fornire il necessario supporto metodologico e operativo. Forse è il caso di cominciare da questo punto.
Antonio Sforza Ordinario di Ricerca operativa e ottimizzazione su rete della facoltà di Ingegneria - Federico II




16/01/2008

L’esempio che serve

Luigi Musella
La mancata solidarietà da parte di molte regioni nell’accettare i rifiuti della Campania e gli ostacoli che si parano davanti a tanti governatori, come nel caso di Soru in Sardegna, riaccendono questioni che sembravano accantonate da anni. In alcuni casi si è parlato di «contese» territoriali che rischiano di destabilizzare la già vacillante unità del Paese nel pieno di una drammatica emergenza: non sono molte le mani tese verso una città e una regione non sempre amate. In altri si sono usati toni spesso inaccettabili. Vittorio Feltri ha parlato di due civiltà: «Non c’è niente da fare, in Italia coesistono due mondi diversi, si direbbe inconciliabili»
E Giorgio Bocca, confermando accenti per lui divenuti consueti, ha scritto: «I napoletani non sono tutti camorristi, ma hanno fatto proprio il linguaggio camorrista». Le regole della politica avrebbero finito per assorbire le regole dell’economia, così come accaduto nei paesi dell’Est. Bocca sembra svillaneggiare la storia e la cultura partenopee (nel senso più ampio e complesso) riconducendole ad un indistinto calderone dove si ritrovano «familismo, violenza, maschilismo, superstizione, pornografia con l’ossessione consumistica come unico criterio di giudizio». Il consumismo, insomma, avrebbe «travolto con le sue immondizie le ultime resistenze civili di Napoli». Queste parole, che ben poco servono a comprendere le nuove dinamiche economiche, sociali e culturali di Napoli e del Sud, non meriterebbero commenti se non finissero poi per ripetere superficiali stereotipi e sgradevoli apprezzamenti. In alcuni casi la generica comprensione del fenomeno finisce in realtà per colorarsi di venature razzistiche o giù di lì. C’è di più e di peggio: la genericità dell’analisi anche sui rifiuti della Campania è il frutto di una cultura che, allontanandosi dalla questione meridionale, si è in fondo allontanata dalla questione italiana. Ma tant’è, al di là degli aiuti e delle critiche - giuste o pretestuose che siano. Resta, però, il dato di fondo: l’immondizia a terra e la grave crisi che è sotto i nostri occhi, la vergogna per una vicenda che ci colpisce nella dignità di cittadini. E allora, se è vero che l’antisudismo non produce nulla di buono e serve solo a rafforzare modalità odiose, c’è tuttavia da parte nostra la necessità di reagire. Bisogna finirla, una buona volta, di attendere l’aiuto altrui: è necessario preoccuparsi direttamente di quello che accade in casa nostra. Anche l’aiuto delle altre regioni può servire per poco tempo, e - in concreto - per una quantità assai limitata di rifiuti. I no sempre e comunque non servono, le barricate contro tutto e tutti sono improduttive. Soprattutto se tocca a noi, in spirito di sacrificio, dare il buon esempio. Non si può soltanto chiedere agli altri se non siamo noi stessi responsabili e artefici del nostro destino e di quello dei nostri figli. A ciascuno le proprie responsabilità, è vero. Chi ha mal governato, e operato peggio, sarà a suo tempo giudicato. E traccia forte, indelebile, resterà di questa vicenda che ha rigettato Napoli in un antro buio della storia. Ma i cittadini non possono restare inermi, o al peggio dare segnali negativi: ne va non soltanto dell’immagine ma soprattutto della nostra vita quotidiana. E allora, in Campania, nei giusti modi, bisogna provvedere alla riapertura delle discariche in previsione di un piano organico di realizzazione dei termovalizzatori che possa avviare a definitiva soluzione il problema. E poi resta il nocciolo - a medio e lungo termine - della raccolta differenziata che parte dalle abitazioni di ciascuno di noi: non può essere avviata senza una precisa responsabilizzazione di chi la fa. Un coinvolgimento che non ammette ulteriori rinvii. Altrimenti non possiamo più lamentarci se qualcuno non ci tenderà più la mano in caso di una ulteriore, drammatica emergenza. Luigi Musella




17/01/2008


IL RACCONTO
Nel Mito infangato

Davide Morganti
La pioggia nei Campi Flegrei non ha più nulla di purificatrice, è sozza, sporca, imbratta tutto quello che tocca o sfiora. In zone declinanti, come quelle della Solfatara, l'immondizia viene trascinata a valle, quando ci riesce, in buona parte va a infilarsi sotto le auto in sosta, imbottendole come luridi panini. Gli schizzi che sollevano le auto sono gialli, macchiano come sputi di malato, come urina di topo. E rimangono attaccati ai vestiti. Dappertutto si allarga una poltiglia schifosa, che si appiccica alle suole delle scarpe, agli occhi, alla pelle e alla gola. Massimo, fisioterapista, è convinto che la zona flegrea debba scontare la pena della ribellione dei Pisani, per questo non si vede ancora nessun camion della spazzatura né una ruspa dell'esercito. «Vogliono costringerci a accettare la discarica, lasciandoci nell’immondizia», aggiunge convinto. Di fianco all’Olivetti una minidiscarica disordinata si è formata su un marciapiedi, eppure basta fare pochi passi per trovarsi di fronte agli scavi di un’opera romana che sta venendo alla luce. Meno male che è chiusa al pubblico, perché ha la capienza giusta per contenere tonnellate di spazzatura di origine incontrollata. Davanti ai parchi privati è una sequenza impressionante di sacchetti, fino a Arco Felice. Le insegne hanno nomi antichi, che suggeriscono emozioni dense. In realtà i Campi Flegrei sono diventati una pattumiera senza vergogna, da cui nessuno mette la testa fuori. Se si percorre la strada che porta all’acropoli di Cuma, dove nella parte bassa stanno avvenendo delle scoperte importantissime, non ci sarà null’altro che immondizia a fare da tracciato archeologico. Si gonfia e si allarga in maniera angosciante. È considerata una strada laterale, poco battuta, e dunque adatta a gettare ogni tipo di rifiuto. Dalle auto si lanciano i sacchetti, poi si va altrove. A via Napoli, all’altezza dello scheletro di un vecchio ristorante che continua a rimanere incomprensibilmente in piedi, un gruppo di condomini ha pagato una quota di venti euro a famiglia per far rimuovere decine di sacchetti che da un canale erano scivolati a mare, dove ci sono decine di barche ancorate. Insomma, il mare sta cercando di imitare il male di quanto avviene a terra. Le spiagge ormai vengono utilizzate per depositare spazzatura di vario genere, basta andare su quelle di Lucrino e Arco Felice, dove enormi sacchetti imputridiscono dentro quello che resta di cabine che aumentano il senso di degrado e di abbandono. È un emporio dello squallore senza fine. Ma nessuno (chi?) rimuove nulla. Virgilio oggi avrebbe persino paura di poggiare il piede sulla sabbia, per timore di infezioni, tanto sono ridotte in condizioni pietose. Dei topi scavalcano dei cumuli di spazzatura, per infilarsi in un buco nel muro. L’ingresso dei laghi dà inizio a una passeggiata fatta di liquami e buste con loghi diversi. Angela, insegnante di una Monterusciello ingoiata dall’immondizia, fa notare come dalla spazzatura continui a uscire plastica, cartone, vetro, alluminio. «La gente non ha imparato niente, continua a buttare tutto per strada senza ritegno». Da queste parti non ci sono più i luoghi dei miti. Licola è il sacco scuro più grande, dove ognuno si sente in diritto di vomitare la sua giornata. Ci sono zone che somigliano alle disperate bidonville africane. Le strade rotte che si allungano al Fusaro, alle spalle di Bacoli, sono state in certi punti così aggredite dalla spazzatura da rendere il ritorno a casa un caso da psicanalisi. Non ci sono più miti, si sono ricoperti di liquami. Sono annegati. Restano nelle parole, che non servono a niente. Virgilio oggi riscriverebbe altrove il sesto canto dell’Eneide. I Campi Flegrei sono diventati la parte molle e sguaiata dell’inferno. L’immondizia ne è un rigurgito fetido. Le bancarelle dei mercati sono accanto alla spazzatura, si vendono cibo e vestiti con i gabbiani che stridono bassi, prima di affondare il becco in una busta di plastica. I cani stracciano gli involucri, ficcano il muso dentro e mangiano. I pochi turisti scavalcano dei cumuli neri, prima di raggiungere l’altro lato della strada. Da queste parti non viene più nessuno. Ma forse era già stato scritto da Virgilio, altrimenti perché far ospitare l’inferno in quello che una volta era il paradiso? Davide Morganti


PUNTO DI VISTA


Frenare gli allarmismi

Salvatore Panico
Uno stato d’animo che l’emergenza rifiuti in Campania ha creato, al di là dell’indignazione per la condizione attuale, è la paura che la presenza dell’immondizia nelle strade costituisca inevitabilmente un pericolo di epidemie di malattie acute e croniche. SEGUE A PAG. 45L’esigenza che si avverte è quella di poter contare su un’informazione leale, non interessata, scientificamente definita; una condizione non immediatamente riconoscibile mentre infuriano le polemiche tra gruppi e interessi politici e sociali. Per fare chiarezza occorre distinguere tra gli effetti possibili dell’immondizia presente in strada (una condizione che dura da tempo, ma auspicabilmente risolvibile in qualche settimana) e quelli legati alla presenza di discariche, Cdr e termovalorizzatori. I primi appaiono al momento quelli che destano le preoccupazioni maggiori nella popolazione ed è su questi che vale la pena fare alcune considerazioni. Di fronte alla condizione di presenza e stazionamento di immondizia nelle strade fa subito capolino nell’immaginario collettivo la preoccupazione per le epidemie acute, quelle legate al diffondersi di malattie infettive. Un quesito rilevante cui bisogna rispondere con il massimo di serietà possibile per evitare di sprecare energia individuale e collettiva verso inutili allarmismi e provare ad indirizzarla verso la soluzione di problemi concreti. I pericoli più grandi nascono dalla possibilità di incorrere in malattie a trasmissione oro-fecale, che si sviluppano nel contatto con l’immondizia. Se immaginiamo che la sicurezza dei lavoratori che sono a contatto con l’immondizia sia garantita, la popolazione generale non ha particolari ragioni di temere, visto che è ragionevole pensare che non ci siano contatti diretti con l’immondizia. Il problema si pone essenzialmente per quelle fasce di popolazione marginale che per ragioni di necessità hanno più contatti con il materiale che ritrova in strada, per rispondere ad esigenze di alimentarsi, di coprirsi e di costruire «tane» per ripararsi. Iniziative sono indispensabili per supportare queste fasce di popolazione per evitare non solo che siano colpiti da malattie, ma che non costituiscano a loro volta un terminale di contagio per gli altri cittadini. Del tutto irrilevante è il pericolo di contagio per via aerea; solo l’attribuzione di poteri magici ai miasmi può far credere a ciò. In teoria un passaggio di infezioni potrebbe avvenire attraverso vettori (le mosche), anche se una condizione decisiva sarebbe costituita da un numero imponente di insetti sistematicamente a fare la spola tra immondizia e case. In effetti, attualmente non è rilevabile alcuna modifica del numero delle notifiche di malattie infettive in Campania, in particolare quelle più diffuse come la salmonellosi non tifoidea, la febbre tifoide, la diarrea infettiva e l’epatite A. Per restare in ambito di trasferimento di infezione da animali a specie umana, molta impressione provoca la presenza di ratti, in particolare per la paura di contagio per leptospirosi. In questo caso, i ratti infettati possono far veicolare l’infezione solamente se la loro urina si mescola con liquidi che successivamente entrano in contatto con la cute delle persone; anche in questo caso una possibilità legata essenzialmente alla condizione vissuta da fasce veramente marginali. Da quello che la letteratura scientifica ci indica e dall’osservazione quotidiana dei dati, ad oggi la paura di epidemie infettive appare poco incombente, contando anche sulle condizioni climatiche dell’inverno, che fortunatamente non le favoriscono. È ovvio che il perdurare della condizione di stazionamento in strada dell’immondizia non fa escludere che il quadro di rassicurazione possa modificarsi: la richiesta di liberare le strade subito è sacrosanta.
Salvatore Panico Docente della Federico II - Dipartimento di Medicina clinica e sperimentale


18/01/2008
La lezione di Brunner

Edoardo Cosenza

La conferenza di Paul Brunner, organizzata lo scorso martedì dall'Università di Napoli Federico II, ha offerto molti spunti di riflessione. Credo che tutti siano stati colpiti dalla estrema chiarezza di idee e dalla semplicità di esposizione, tipica di chi le cose le racconta perché le ha fatte, non solo studiate. E poi l'assoluta flemma, per niente scalfita da una situazione comprensibilmente surriscaldata D'altra parte Brunner ha chiarito bene che aveva già affrontato da solo una assemblea di 2500 arrabbiatissimi austriaci, che non volevano assolutamente un inceneritore. Adesso l'inceneritore è lì, perfettamente funzionante con soddisfazione di tutti. Ed ha anche precisato che non abbiamo affatto il primato della inefficienza: anche in Germania anni orsono si era finiti in una «emergenza» simile alla nostra, con insufficienza di discariche, ed era montata una protesta dai toni drammatici. Per un po' avevano mandato i rifiuti in Svizzera, pagando l'incenerimento e poi avevano risolto terminando la costruzione di inceneritori che oggi bruciano anche la nostra spazzatura. Anche i tedeschi avevano usato toni urlati, tipici di chi va incontro a cose che non conosce bene. E sembra spuntare il diavolo. Poi le cose erano state spiegate e comprese; infine la crisi era terminata. L'approccio della conferenza è stato per me una sorpresa. Ho avuto modo di andare a cena con lui ed ho capito che la semplicità di esposizione e la chiarezza di idee provenivano dalla sua storia personale: Laurea in Chimica a Zurigo e poi Master in Ingegneria Civile a Stanford in California; oggi professore di Waste Management (Gestione dei rifiuti) al Politecnico di Vienna e progettista del famoso inceneritore in piena città. Dunque ha saputo chiarire il problema nei suoi aspetti chimici, ingegnerisitici, gestionali. A proposito, a cena ha tranquillamente mangiato mozzarella di bufala, gradendola molto. Per la verità anche a me è sembrata molto buona. Durante la conferenza ha presentato una sintetica storia del problema, con l'evoluzione dell'inquinamento da rifiuti dalla nascita dell'uomo, passando per il periodo degli inceneritori inquinanti degli anni 70 e terminando con quelli a griglia dei nostri tempi che sono assolutamente sicuri. Come quello di Vienna e di Acerra per intenderci. Poi ha detto con grande chiarezza che un inceneritore, controllando efficientemente il processo, può bruciare qualsiasi rifiuto in sicurezza. Così come una discarica, con un sito ben scelto ed una buona realizzazione, può stoccare qualsiasi rifiuto in sicurezza. Cosa incenerire e cosa mandare a discarica è solo questione economica. Se poi si incenerisce in un «termovalorizzatore» come quello di Acerra, allora si produce anche elettricità. Se il costo economico o sociale della discarica è elevato, come in Campania, si deve incentivare molto la raccolta differenziata ed usare impianti di compostaggio per l'umido. In realtà anche in Italia ci sono esempi, se ci pensiamo bene: a Venezia la differenziata costerebbe talmente tanto, che è più semplice ed economico incenerire tutto, nel termovalorizzatore che hanno costruito. Dunque il messaggio è stato molto tranquillizzante: il chimico-ingegnere-economista Paul Brunner conferma che si può utilizzare qualsiasi tecnica per smaltire i rifiuti, sempre in sicurezza. La sicurezza dipende solo dalla nostra capacità di controllo. La scelta finale è di natura economica. Naturalmente Brunner ha compreso bene e detto con chiarezza che il problema campano oramai è psicologico: tutti hanno paura di tutto. Cioè la crisi è di fiducia, una crisi di «trust» come diceva nel suo chiarissimo inglese. Come dice il rettore Trombetti, la fiducia può tornare e la crisi si può superare se ognuno fa bene ciò che gli spetta di fare. Dunque da parte nostra, come tecnici e docenti, non possiamo fare altro che tentare di spiegare in modo semplice le questioni tecniche. Tranquillizzando quando si può tranquillizzare e allertando quando si deve allertare. Mai strillando. Edoardo Cosenza preside facoltà di Ingegneria

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Prima di pubblicare informazioni parziali e incomplete documentatevi per favore!

http://www.marcoboschini.it/?p=698
http://www.nanodiagnostics.it/Caso.aspx?ID=12
http://www.nanodiagnostics.it/Caso.aspx?ID=13
http://www.nanodiagnostics.it/Caso.aspx?ID=16




La favola dei termovalorizzatori

Nulla si crea e nulla si distrugge
Era proprio bella la favola che i rifiuti potessero essere bruciati e sparire nel nulla. Una storia allettante quanto il fantomatico paese dei balocchi, dove tutto è concesso e dove non esistono conseguenze per le proprie azioni. La realtà sulla terra purtroppo ha delle leggi ferree da cui non possiamo fuggire. La legge fisica infatti recita che “nulla si crea e nulla si distrugge, ma tutto si trasforma”.
Quei 618 chili annui che ogni italiano butta ogni anno nei cassonetti non possono dunque dissolversi per sempre, ma continuano a pesare e ad essere di ingombro a distanza di anni. Preoccupa che di questi 6 quintali solo 120 chili, secondo i dati di Ecosistema Urbano 2008, vengano riciclati e recuperati. Il resto finisce inesorabilmente in discarica e nelle fauci ingorde degli inceneritori.
Insomma tu li puoi “termovalorizzare” quanto vuoi, i rifiuti però non si distruggono. La combustione li riduce inesorabilmente in ceneri tossiche da recuperare, e fatto ancor più grave produce emissioni preoccupanti di CO2, diossine, furani e polveri sottili. Un esempio su tutti: il celeberrimo inceneritore di Brescia, che ha vinto il premio come impianto migliore del mondo (!), divora quasi 600 mila tonnellate di rifiuti urbani all’anno e vomita 150 mila tonnellate di ceneri classificate come rifiuti pericolosi. Di rifiuto in rifiuto il ciclo continua.
Fabbrica di tumori
La Commissione Europea ha stimato recentemente che in tutta Europa almeno 350 mila decessi all’anno sono causati da polveri ultrafini. Le polveri sottili sono nocive a causa delle loro piccole dimensioni e del fatto che con sé materiali tossici e nocivi residui della combustione, come idrocarburi policiclici, benzene, metalli pesanti e diossine, pericolosi perché persistenti e accumulabili negli organismi viventi.
In Italia gli studi di Antonietta Gatti e Stefano Montanari della Nanodiagnostic di Modena (Istituto di ricerca sulle nanopatologie) hanno portato all’attenzione nazionale i danni causati sulle nanoparticelle derivate dall’incenerimento dei rifiuti, grazie al megafono degli spettacoli di Beppe Grillo nelle piazze italiane.
La questione degli inceneritori nel corso degli anni ha dato adito a molte controversie, sfociate in numerose lotte politiche locali e tradotte in approssimazioni scientifiche e bagarre ideologiche senza quartiere. Mentre lo studio commissionato dall’ex Ministro Matteoli del 2001-2004 decreteva la tecnologia di termovalorizzazione “affidabile e sostenibile”, a distanza di pochi anni, diversi studi internazionali convergono nell’evidenziare una correlazione tra patologie tumorali e presenza di inceneritori.
E’ evidente che con la trasformazione degli inceneritori in termovalorizzatori il business dei rifiuti ha assunto i connotati economici rilevanti (quasi 4 milioni di tonnellate di rifiuti bruciati ogni anno con profitto). D’altra parte non è ancora del tutto chiaro quale sia la reale sostenibilità economica dell’industria del rifiuto trasformato in energia. Il business in effetti è maturato in un contesto politico anomalo, che ha esposto l’italia a vari richiami e a procedure di infrazione. Da oltre un decennio infatti gli inceneritori continuano a beneficiare del famigerato CIP 6, una sottile macchinazione che ha incluso la produzione di energia da incenerimento tra le energie rinnovabili, garantendo incentivi per 3 miliardi di euro annui a centrali che di rinnovabile hanno ben poco. La Finanziaria 2007 a fronte delle promesse non ha saputo bloccare questo fenomeno. Senza i finanziamenti pubblici gli azionisti del comparto dovendo stare sul mercato si trovano spiazzati. Un segnale incoraggiante possono però trovarlo nell’aumento della quantità di rifiuti procapite annua. Se la raccolta differenziata poi non decolla meglio ancora.
Il sistema ha comunque i piedi d’argilla. Paesi come Germania e Stati Uniti hanno da tempo pensato di fermare gli investimenti negli inceneritori, scegliendo altre soluzioni come il trattamento meccanico dei rifiuti.
Finché il rifiuto non viene concepito come materia da recuperare, ma addirittura si trasforma in combustibile saremo come forzati a produrre ingenti quantità di immondizia. La soluzione maestra resta quella di ridurre la produzione di rifiuti a monte per poi stimolare la raccolta differenziata tramite il porta a porta con sistemi di incentivazione economica. Cominciamo a salvare il rifiuto dall’inceneritore per arrivare alla meta di una società a rifiuti zero. Prendere o rifiutare. [di Gabriele Bindi]

Anonimo ha detto...

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