domenica 20 gennaio 2008

Analisi e Riflessioni di un Chimico Campano da venti anni sul campo

Vi riporto il fondamentale intervento del collega chimico Antonio Pastena
da me più volte sollecitato
Franco di Liberto


1 – I rifiuti solidi urbani della Campania

Nessun discorso serio si può condurre sulla crisi della gestione dei rifiuti campani se non si parte dalla corretta definizione di questi rifiuti, diversi in composizione da quelli mediamente descritti in letteratura.
Nel rifiuto campano troviamo infatti:
a) enormi quantità di imballaggio da attività commerciale ed edilizia;

b) grandissime quantità di rifiuto artigianale spesso tossico (dal fusto di solvente del carrozziere a quello di colla del suolificio, o della fabbrichetta di borse etc.);

c)rilevanti quantità di rifiuto industriale (fanghi di rettifica o di galvanica, scarti di colorifici, etc.) provenienti da fabbriche ufficiali e clandestine.

Questa osservazione, fondamentale per capire di cosa stiamo parlando, trova verifica in due fatti:

1) l’aumento di produzione di rifiuti solidi urbani negli ultimi due anni (a Napoli da 510 a 580kg/ab/anno), non certo giustificabili con un repentino aumento del tenore di vita;

2) la qualità del percolato prodotto da questi rifiuti, che arriva ad un valore di 140 g/l di COD, [che è il parametro spia per il carico inquinante]

Ma come arrivano questi rifiuti non urbani nella massa degli urbani?
Due sono le strade:
a) l’abbandono incontrollato nelle strade e nei cassonetti (e con i cumuli presenti in questi giorni l’operazione è favorita e in forte crescita),
b) la corruzione di singoli operatori che per “mazzette” caricano nel proprio compattatore rifiuti industriali durante il giro di raccolta.
c) In passato hanno inciso anche le dubbie gestioni dei siti di stoccaggio e trattamento provvisori affidati a società private operanti nel settore dei rifiuti industriali.
Chi avrebbe dovuto vedere tutto ciò e non l’ha fatto, e perché?
1) I Comuni e le società di raccolta (ASIA, Consorzi vari) impegnati nella distribuzione clientelare dei posti di lavoro non hanno mai attivato controlli e raccolta differenziata per insipienza e, talvolta perché, per quieto vivere, hanno lasciato la gestione dei traffici illeciti nelle mani di figure equivoche assunte, con cui non si è mai voluto entrare in contrasto per paura o per interessi elettorali.
2) Le società di smaltimento e di stoccaggio (vedi FIBE, FISIA, siti “provvisori”), avevano interesse a quantitativi quanto maggiori possibile essendo pagati a peso (e così non conviene guardare troppo per il sottile su cosa arriva e non si deve mai avviare la raccolta differenziata).
3) Gli organi di gestione e controllo (e che per le varie competenze comprendono Comune, Provincia, Regione, anche come ARPAC e nel nostro caso Stato, essendo il Commissariato di Governo), non hanno mai provveduto a fare una serie analisi della composizione merceologica del RSU campano per non scoperchiare una pentola politicamente scomoda.

Aggiungo che io stesso ho dovuto scontrarmi con organismi pubblici e privati per affermare la verità sui percolati campani: i dati ufficiali parlavano di un COD intorno a 30g/l, mentre il dato reale era, come detto, di 140g/l.,
Ammetterlo era ammettere la natura industriale del rifiuto, ed in più ammetterlo era interrompere l’enorme movimentazione di questi liquami presso impianti improbabili distribuiti per l’Italia centro-meridionale, con fatturati elevatissimi regalati a ditte private.

Su questo c’è da dire che pur essendo stato riconosciuto il reale carico inquinante del percolato, non è cambiata la sua gestione.


2 – Le conseguenze

Da quanto detto precedentemente si ricavano delle conseguenze inquietanti:
- -- il rifiuto abbandonato per le strade ha dei rischi di natura chimico-biologica superiore a quello preventivabile;
- --- la movimentazione di questi rifiuti presenta criticità per la popolazione e gli operatori;
- --- il conferimento di questi rifiuti ai CDR espone gli operatori a rischi accessori nelle fasi di
manipolazione, ed in più nulla si sa sulla composizione dell’aria estratta ed emessa nella atmosfera;
- --- la frazione organica stabilizzata, FOS, (ovvero l’umido separato dai CDR), prodotta non è determinata nei suoi inquinanti; (Essa dovrebbe servire a recuperi ambientali!)
- ---- le ecoballe prodotte, oltre a non essere dotate di adeguato potere calorifico, non sono idonee alla combustione in un impianto per RSU (a tal proposito si veda il recentissimo sequestro
dell’inceneritore di Terni, che ha emesso sostanze inquinanti in atmosfera per aver combusto
materiali difformi);
- --- il percolato prodotto da questi rifiuti ha un carico inquinante devastante.

3 – Cosa fare

Voglio esprimere in breve qui di seguito quali possono essere, sulla scorta di quanto detto, le misure a mio avviso indispensabili e di pronta efficacia, considerando la fase emergenziale e quella di messa a regime (che sarebbe attuabile in pochissimi mesi):
Emergenza
1)realizzazione di piazzole di stoccaggio provvisorio comunali realizzate secondo norma (impermeabilizzazione, raccolta di percolati ed acque meteoriche, controllo di odori e animali, etc.) da funzionare per non più di 15 giorni;
2) esatta valutazione della composizione del rifiuto campano abbandonato;
3) esatta valutazione della composizione di FOS ed ecoballe;
4) interramento controllato dei materiali ormai non più separabili;
5)gestione controllata dei percolati;
6) ripristino delle aree di stoccaggio:
Messa a regime
- ----moratoria per un anno su tutto il territorio regionale dei contenitori usa e getta;
----- creazione di un sistema di controlli e sanzioni per le attività commerciali basato sul conferimento ai consorzi di filiera delle quantità di imballaggio desumibile dalla quantità di merci vendute;
----- creazione di un sistema di controlli e sanzioni per le attività edilizie di costruzione, demolizione e ristrutturazione;
- ----avvio della raccolta differenziata porta a porta (con sistema premiale e sanzionatorio)strutturata su più tipologie (umido, metalli, carta, plastica, vetro, urbani pericolosi, quota residuale indifferenziata);
- -----esatta valutazione della composizione del rifiuto campano raccolto;
- ----creazione, ogni 30-40 mila abitanti, di siti di stoccaggio per i materiali secchi (dove conferire la raccolta differenziata) e immediatamente collegati ai consorzi di filiera (per una città come Napoli se ne potrebbero creare anche 20-30);
- ----creazione di almeno 15 impianti di compostaggio in Campania dove conferire l’umido
differenziato unitamente agli scarti da potatura e da mercati ortofrutticoli, con la possibilità di creare un marchio DOP del compost di qualità campano (onde avere anche un rilancio di
immagine della nostra martoriata terra);
----- esatta valutazione merceologica della quota residuale di rifiuto (che non dovrebbe superare il 20% dell’attuale) per valutarne la destinazione finale più opportuna (potendo non essere necessariamente l’incenerimento il più conveniente).

4 – Un’ultima osservazione
L’ultima osservazione che voglio fare è sull’individuazione di siti di smaltimento definitivo che si sta attualmente indirizzando su vecchie discariche chiuse (Pianura, Terzino, Ariano Irpino, etc.).
La legislazione ambientale ha sempre previsto (già dal 1984), delle fasi di gestione cosiddetta post-mortem delle discariche, gestione estremamente dettagliata in legislazione del 2003. La competenza del controllo e dell’effettiva realizzazione del post-mortem è in primis nelle mani dei Comuni.
Perché non è stato fatto?
E soprattutto perché non sono disponibili i dati degli impatti ambientali (su suolo, sottosuolo, acque, aria) obbligatori in queste leggi?
Chi è stato a non produrli?
Chi non ha imposto che fossero prodotti e nel contempo ha consentito che spesso in queste si sviluppassero attività antropiche anche turistiche?
Chi ha consentito la valorizzazione commerciale di aree ( probabilmente inquinate) di proprietà di chi aveva gestito le discariche?

Antonio Pastena

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Concordo sulla necessità di recuperare tutti i rifiuti prodotti da attività lavorative mediante una raccolta incentivata/sanzionatoria da avviare al recupero in fabbrica (tempo 1 mese). Per quanto riguarda la raccolta differenziata del rifiuto solido si potrebbe attivare in circa 1 mese (basta una legge regionale) la vendita dei prodotti ad un prezzo comprensivo del costo del contenitore (vuoto) e del reso di un eventuale prodotto che abbia terminato la sua vita (vedi contenitori di plastica, vetro, imballaggi, pile, batterie, farmaci, arredi, attrezzature elettroniche, ecc.), recependo in tal modo le direttive regionali in mataria. Per quanto riguarda l'umido avvierei una raccolta immediata dello stesso presso i mercati, la distribuzione, la ristorazione, mense, ospedali, comunità in genere (1 mese). Per quanto riguarda l'umido prodotto dalle famiglie fornirei a tutte le famiglie una macchinetta trituratrice utile per avviare il residuo umido così ottenuto alla produzione di un compost casalingo o allo smaltimento in fogna (2-6 mesei). Ed in fine ATTIVEREI IMMEDIATAMENTE impianti VERI di produzione di CDR (1-3 mesi) ed il termovalorizzatore di Acerra (6 - 8 mesi)di cui non possiamo assolutamente fare a meno. Se non ci rendiamo conto di ciò l'emergenza non sarà mai superata e continueremo ad avere danni enormi per la salute. Ricordo che i soli fuochi d'artificio di fine anno producono più inquinanti di un termovalorizzatore che funzioni a pieno regime per un anno. Ed infine avvierei l'immediata costruzione dei termovalorizzatori per le altre provincie della regione Campania (18 - 36 mesi).

Anonimo ha detto...

Riporto dal Mattino di oggi 22/01/08 l’intervento di Guido Barone che, indipendentemente, rafforza alcune delle proposte di Antonio Pastena
Franco di Liberto


La raccolta indifferenziata

Guido Barone *

È opportuno riprendere e riassumere gli argomenti trattati nel forum pubblicato in questi giorni dal Mattino. Per rendere efficace e sicuro il ciclo dei rifiuti bisogna prevedere varie fasi. Ecco i punti principali: ridurre in partenza il volume di tutto ciò che non è indispensabile per la produzione e il consumo di beni utili; effettuare una raccolta differenziata estesa ed efficiente; separare i rifiuti solidi urbani nelle frazioni organiche destinabili agli impianti di compostaggio (produzione di concime e materiale per riarricchire i suoli agricoli esausti), in quelle utilizzabili come combustibili (Cdr) e in una residua da stabilizzare (Fos o Forsu) e da inviare in discarica separatamente o assieme a tutte le componenti inorganiche. La riduzione a monte dei rifiuti riguarda gli imballaggi e i contenitori. I produttori debbono essere convinti a ritirarli quanto più possibile dai supermercati e dagli esercenti al dettaglio, e questi non debbono gettarli nei cassonetti o in strada. Se necessario occorrono procedure severe di controllo. Va notato che la Ue emette normative che spesso incoraggiano l’uso eccessivo degli imballaggi in base ad una ossessiva richiesta di rendere igienici i prodotti distribuiti, favorendo una corsa al ribasso della qualità dei prodotti alimentari industriali. Raccolta differenziata e riciclo sono poste in atto più spesso da piccoli Comuni. Occorre assolutamente rendere più efficiente l’organizzazione complessa per le grandi città. La raccolta per cassonetti e campane stradali avrebbe dovuto essere una soluzione iniziale e provvisoria e invece è diventata l'unica praticata, nel migliore dei casi, e comunque scarsamente affidabile. La raccolta di vetro, contenitori metallici e plastica in parte sta funzionando. Il contratto con Replastic, però, copre solo alcuni tipi di plastiche e comunque occorre una seconda fase di separazione dai contenitori metallici. I materiali ferrosi possono essere a loro volta separati magneticamente dalle lattine di alluminio rifondibili. Le plastiche debbono invece subire un processo per lo più manuale di separazione in base alla loro tipologia (composizione chimica): alcune possono essere rifuse per ottenere di nuovo contenitori per bevande (Pet) o film da imballaggi (Pe e Pp); non il Pvc né il polistirolo con cariche inerti dei cruscotti e chassis. Una pratica alternativa, osteggiata dai produttori, sarebbe quella di utilizzare i contenitori per bevande come vuoti a rendere, cosa che si può fare anche con le bottiglie di vetro. Questi ultimi, separati per colore, possono essere rifusi o riutilizzati. Molto meglio, perché più capillare, dovrebbe funzionare la raccolta della carta con i contenitori da condominio, non sempre disponibili. La carta, però, non può essere riciclata più di 3-4 volte a causa dei severi trattamenti chimici che distruggono le preziose fibre. Altri materiali come gli olii esausti, gli accumulatori al piombo, le pile e i farmaci scaduti, i contenitori di Cfc dei vecchi frigoriferi debbono essere conferiti ai rispettivi consorzi o aziende di trattamento mediante gli appositi siti di conferimento da rendere più diffusi sul territorio. Infine sta diventando un affare internazionale l’utilizzo delle componenti elettroniche di computer, televisori, telefonini. Rifiuti tossici e speciali infine possono solo esser distrutti per combustione o conferiti in discariche separate. Il lato più debole della organizzazione della raccolta degli Rsu a Napoli e in Campania, che ha portato all’emergenza, è l’attuale sistema di raccolta per cassonetti stradali nei quali viene gettato di tutto. Ciò ha portato all’intasamento dei centri di trattamento che sono stati sommersi dalle quantità indifferenziate da trattare. Secondo l’ambizioso Piano regionale del 1997 con la differenziata al 35% si dovrebbero trattare oggi 4,2 milioni di tonnellate all’anno (l’inceneritore di Acerra sarebbe quindi insufficiente per trattare i soli Cdr). Tralasciando ogni commento su come sono andate le cose, occorre ribadire quanto detto da Brunner e da molti altri esperti di impianti e alcuni epidemiologi: gli inceneritori moderni (e quello di Acerra si può ulteriormente migliorare nella fase finale) sono abbastanza sicuri; non possono produrre diossine (distrutte alle temperature standard di esercizio) ed emettono quantitativi molto limitati di inquinanti e polveri, molto minori comunque di quelle prodotte dal traffico automobilistico nella stessa area. Per rassicurare la popolazione si deve imporre, cosa che sostengo da anni, la presenza, durante tutto il periodo di funzionamento negli organi di gestione dell’impianto, di una delegazione limitata di cittadini e autorità locali. Altre tecniche di termodistruzione, di cui si è parlato nei giorni scorsi: le torce al plasma sono grandi consumatrici di energia e possono convenire solo per trattare rifiuti tossici; mentre i trattamenti termici a bassa temperatura (dissociatori molecolari) pur non emettendo diossine possono trattare solo poche tonnellate al giorno di rifiuti indifferenziati. D’altra parte in situazioni di emergenza anche gli inceneritori possono trattare rifiuti organici indifferenziati isenza emettere diossine: diminuisce solo il rendimento energetico. Guido Barone * Ordinario di Chimica Fisica ambientale all’università Federico II